Comporto di Malattia e Diritto alla Conservazione del Posto di Lavoro

Comporto di Malattia e Diritto alla Conservazione del Posto di Lavoro

Intervento dell’avvocato del lavoro Gianluca Lavizzari dal canale YouTube Studio Legale Lavizzari

 

 

In questo video affrontiamo due aspetti che riguardano il comporto di malattia, cioè il periodo nel quale il dipendente ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, anche in presenza di assenza per malattia.

Il primo aspetto riguarda un intervento della Cassazione, del Novembre 2016, la quale è intervenuta per confermare un principio consolidato, quello della presunzione di continuità della malattia. Cosa si intende.

Un certificato di malattia che prescrive una prognosi (per esempio dal primo al 31 gennaio, quindi per un intero mese) comporta che per quel periodo verranno conteggiati, ai fini del comporto, tutti i giorni, anche quelli festivi e non lavorativi. Quindi 31 giorni di assenza, perché si presume la continuità dell’effetto morboso.

L’importanza dell’intervento del novembre 2016 della Cassazione, è l’estensione di questo principio, ai
cosiddetti certificati in sequenza.

Cosa sono i certificati in sequenza? Sono i certificati che attestano una prognosi, quindi un’assenza per malattia (esempio dal Lunedì al Venerdì) e riprendono, senza soluzione di continuità, la malattia dal Lunedì al Venerdì successivo. Pratica frequentissima.

Ma che ne è del Sabato, della Domenica, del giorno di Natale, o delle festività non coperte da certificazione medica? Cioè di quei giorni che si presentano, senza soluzione di continuità, tra un’assenza certificata e l’altra?

Ebbene la Corte di Cassazione ha stabilito che anche in questo caso, esiste la presunzione di continuità dell’effetto morboso. Per cui, nell’esempio fatto, il Venerdì e il Sabato non lavorativi, si conteggeranno come utili ai fini della maturazione del comporto. Quindi un’assenza certificata di cinque giorni, ai fini del comporto sarà un’assenza di sette giorni.

Un ulteriore aspetto è la possibilità, riconosciuta al lavoratore, all’avvicinarsi della maturazione del periodo di comporto, di convertire l’assenza per malattia in ferie.

Se un’assenza per malattia è particolarmente lunga, il lavoratore maturerà ovviamente delle ferie non godute.
Ai fini di mantenere la conservazione del posto, pur in presenza di un’impossibilità per malattia, la Cassazione (da aprile 2018) ha confermato il diritto del dipendente di chiedere di poter convertire l’assenza per malattia in assenza per ferie, quindi in un’assenza non utile ai fini della maturazione del comporto.
Questo sul presupposto che non c’è una incompatibilità assoluta, ma soltanto relativa tra la malattia e le ferie.

Tuttavia, non sussiste nessun automatismo
, cioè le ferie maturate non aumentano automaticamente il comporto. Onere del lavoratore è dunque quello di chiedere espressamente, e indicando la decorrenza, di voler usufruire delle ferie. A questo onere, accompagnato dal diritto di ottenere la conversione, non si accompagna, per la verità, un obbligo del datore di lavoro di concedere le ferie.

Di fatto però, come dice la Cassazione, va tenuto in seria considerazione l’interesse primario del dipendente di conservare il posto di lavoro. Quindi è vero che non c’è un obbligo da parte del datore, ma all’atto pratico, quest’ultimo dovrà poi dimostrare che la negazione, o il rifiuto della concessione del periodo di ferie, non è contrario alla correttezza e alla buona fede. Devono quindi sussistere delle ragioni diverse per ottenere il superamento del comporto, ragioni obiettive, che possano negare al dipendente assente per malattia questo diritto, il prolungamento del periodo di comporto.

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