Rilevanza Frasi Offensive a Sfondo Sessuale per Giusta Causa Licenziamento
La rilevanza delle Frasi Offensive a Sfondo Sessuale ai Fini della Giusta Causa di Licenziamento
Il commento dell’avvocato Giulia Passaquindici dal canale YouTube Studio Legale Lavizzari sulla sentenza della Corte di Cassazione n. 7029 del 9 marzo 2023 con la quale la Corte ha ritenuto integrata la giusta causa del licenziamento dalla condotta di un lavoratore che aveva pronunciato frasi sconvenenti ed offensive nei confronti di una collega.
Riportiamo qui di seguito un riassunto del contenuto del video.
Con la sentenza n. 7029 del 9 marzo scorso la Cassazione ha ritenuto integrata la giusta causa del licenziamento dalla condotta di un lavoratore che aveva pronunciato frasi sconvenenti ed offensive ad alta voce, alla presenza di diversi utenti, nei confronti di una collega.
Tale addebito traeva origine dall’esposto presentato da quest’ultima al datore di lavoro con il quale aveva riferito che il lavoratore, avendo appreso che la collega in questione aveva partorito due gemelli, aveva iniziato a farle domande sgradevoli, riferendosi a lei con interrogativi in dialetto di questo tenore “ma perché sei uscita incinta pure tu?” e ulteriormente incalzandola “ma perché non sei lesbica tu?” e, quindi, con fare irrisorio, “e come sei uscita incinta?” ed altre frasi.
L’episodio era avvenuto alla fermata di un autobus, dove la collega era in attesa di prendere servizio come autista, alla presenza di altre persone, mentre sia il ricorrente che la sua interlocutrice erano in divisa e quindi riconoscibili come dipendenti della società.
La società aveva, dunque, contestato al dipendente tale condotta che, unitamente ad altro addebito successivo, riteneva di gravità tale da comportare la risoluzione del rapporto sia in relazione alla normativa generale sia in relazione all’art. 45 R.D. n. 148 del 1931, che al punto 6 prevede la destituzione di “chi per azioni disonorevoli o immorali, ancorché non costituiscano reato o trattisi di cosa estranea al servizio, si renda indegno della pubblica stima”.
La Corte d’Appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva ritenuto sproporzionata la sanzione espulsiva, rivenendo nella condotta contestata un comportamento inurbano (in quanto concernente apprezzamenti sulla sfera sessuale di una collega) ma comunque meno grave di altra concernente “il contegno inurbano o scorretto verso il pubblico”, punita con sanzione conservativa dal Regolamento allegato A) al R.D. n. 148/1931. Il collegio aveva, dunque, applicato la tutela reale di cui al 4 comma dell’art. 18 S.L.
La Cassazione, invece, ha ritenuto la decisione impugnata non conforme ai valori della realtà sociale e ai principi dell’ordinamento, richiamando il principio per cui “la sussunzione della fattispecie concreta nella clausola elastica della giusta causa secondo standard conformi ai valori dell’ordinamento, che trovino conferma nella realtà sociale, è sindacabile in sede di legittimità con riguardo alla pertinenza e non coerenza del giudizio operato, quali specificazioni del parametro normativo avente natura giuridica e del conseguente controllo nomofilattico affidato alla Corte di cassazione”.
La sentenza impugnata, infatti, rimandava ad un comportamento contrario soltanto alle regole della buona educazione e degli aspetti formali del vivere civile, quando, invece, il contenuto delle espressioni usate e le ulteriori circostanze di fatto si ponevano in contrasto con valori ben più pregnanti, ormai radicati nella coscienza generale ed espressione dei principi generali dell’ordinamento.
L’orientamento sessuale attiene, infatti, alla sfera intima dell’individuo assolutamente riservata.
L’intrusione in tale sfera, effettuata peraltro con modalità di scherno e alla presenza di terzi, deve essere valutata come grave alla luce della centralità nella carta costituzionale dei diritti inviolabili dell’uomo, del riconoscimento della pari dignità sociale, “senza distinzione di sesso”, del pieno sviluppo della persona umana, del lavoro come ambito di esplicazione della personalità dell’individuo, oggetto di particolare tutela “in tutte le sue forme ed applicazioni”.
La Corte ha poi richiamato, in quanto particolarmente rilevante nel caso di specie, il codice delle pari opportunità che espressamente considera discriminazioni “anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”.
Infine è stato precisato che concorre a delineare la scala valoriale di riferimento nell’integrazione della clausola elastica di “giusta causa” la generale esigenza di riservatezza relativa a dati sensibili riferibili alla persona, tra i quali quello relativo all’orientamento sessuale, posta dal D.Lgs. n. 196 del 2003.
Alla luce di tali considerazioni la Cassazione ha cassato la sentenza rinviando per il riesame della complessiva fattispecie al fine della verifica della sussistenza della giusta causa di licenziamento alla luce della corretta scala valoriale di riferimento ricostruita.